“8 Marzo, Parliamo di donne”: Anna Guerrieri e la DOC, quella sottilissima linea fra il pensiero e la realtà

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“8 Marzo, Parliamo di donne”: Anna Guerrieri e la DOC, quella sottilissima linea fra il pensiero e la realtà

Anna Guerrieri è una giovane donna con un sorriso luminoso carico di amore da trasmettere. E’ una persona molto sensibile incline a vivere l’esistenza attraverso i sentimenti e le emozioni; ha obiettivi precisi ed una famiglia concreta intorno a se. Difficile tratteggiare il suo profilo senza scivolare nella tentazione di adoperare elogi e complimenti, nel luogo comune che “quando la famiglia c’è, si vede”. Vive nella meravigliosa Lecce che si affaccia su due mari, ha da poco completato un percorso universitario durissimo e si prepara a mettere in pratica anni di studio e di sogni. Sa esattamente cosa vuole fare da grande e che deve trasferirsi in un’altra città, lontana e diversa dalla sua per conseguire una specializzazione, quando ad un certo momento si ritrova spinta in fondo ad un universo ribaltato in cui la centralità e la padronanza dei suoi pensieri stanno vacillando, suo malgrado…

Anna ha una storia bella da raccontare, quanto meno una storia che si è conclusa con una via d’uscita, lunga, tortuosa ma in sicurezza, proiettata verso una soluzione. Ascoltandola si avverte una duplice ammirazione: verso la volontà a cui  questa ragazza ha chiesto aiuto per capire, per prendere coscienza di cosa le stesse accadendo e per il coraggio con cui parla di sé e del suo “compagno silenzioso” ma non più oscuro.

Quando s’incontra una persona così, ci sono lezioni da imparare: questo è un fatto. C’ è anche da sperare che “il nemico” pieno di incognite non allunghi la sua ombra su di noi e soprattutto sulle persone a cui vogliamo bene; ma se ciò accade, la famiglia ha il dovere di abbandonare vecchi e discutibili cliqué ed intervenire tempestivamente, coinvolgendo gli Operatori della Salute Psichica (pschiatri e psicologi) evitando di favorire la cronicità del disagio, così come hanno fatto i genitori di Anna. Anna Guerrieri, forza della natura, voglia di vivere ed energia allo stato puro, ci sia di esempio, perché anche l’anima può ammalarsi e non è vergogna. Recentemente, ha aperto un blog –“Caro DOC, vuoi essere mio amico?” – dal quale si racconta ed invita chi teme il giudizio altrui ad aprirsi ed esprimersi chiamando “l’incomodo” col suo nome!

 

“Mi presento. Sono Anna Guerrieri, ho 27 anni e vivo a Lecce, in Puglia. Dopo essermi laureata in Giurisprudenza all’Università del Salento ho preso armi e bagagli e sono andata in Lombardia, conseguendo il diploma di specializzazione presso la Scuola per le professioni legali Pavia-Bocconi e svolgendo il tirocinio presso il Tribunale dei Minorenni di Milano. Il mio sogno? Diventare un magistrato. Ho vissuto mesi meravigliosi, a contatto con ragazzi problematici, con un vissuto particolare, che avevano smarrito la propria strada. Da pochi giorni, ho coseguito a pieni voti il Master in Criminologia, psicologia e psicopatologia forense: non è un caso, la vita mi ha dato la possibilità di avvicinarmi a questo settore, non per motivi professionali ma per esperienza vissuta.”

“Ho una meravigliosa famiglia, sempre presente e attenta ai miei problemi: una sorella più piccola, una mamma e un papà. E da 8 anni ho al mio fianco un ragazzo stupendo, che mi ha capito e supportato in ogni singolo istante, anche quando non sapeva davvero come aiutarmi. Sono sempre stata una ragazza molto studiosa, determinata, caparbia e, soprattutto, perfezionista. E quest’ultima caratteristica è stata anche la mia “rovina”! Quando frequentavo il terzo anno di università ho vissuto un periodo di grande stress per un esame difficile, ostico, Diritto Tributario. È stato l’inizio del tracollo. Ricordo ancora la sera di San Valentino, il 14 febbraio 2015, a 4 giorni dalla data del fatidico esame. Non sono riuscita a dormire per tutta la notte, non per pura insonnia ma per qualcosa di diverso. Avevo paura di addormentarmi, di lasciarmi andare al sonno, pur avendo tanto bisogno di dormire. Povera mamma, è stata al mio fianco per tutta la notte e ancora non sapevamo che sarebbero state più notti. I giorni passarono, la paura rientrò, ricominciai a vivere come una ragazza della mia età.”

 

“Passarono gli anni, arrivai al quinto anno di università, completamente immersa nello studio e nella mia voglia di raggiungere il tanto agognato traguardo, la laurea. Altro esame, altra corsa. Procedura civile, che bestia! Mi bloccai durante lo studio, guardavo il libro senza più riuscire a memorizzare nulla, ripetevo e ripetevo senza sosta e senza tregua. Ero stremata. E così iniziarono altri problemi. Un giorno, durante un pranzo, mio padre mi guardò e disse “Anna, perché stai mangiando così lentamente?”.  Masticavo e ingoiavo lentamente, quasi con timore. Ed in effetti era così, altra paura, altro ostacolo, avevo il terrore di soffocare col cibo che io stessa avevo in bocca. Passò circa un mese, il problema sembrava essere superato, in realtà celava in sè un mostro oscuro che non era ancora uscito allo scoperto. Io non me ne resi conto, pensai che fosse ansia, che si trattasse di “fissazioni”, cretinate che dovevano passare!”

“Ma lo sguardo attento di mia madre, alle prime avvisaglie, aveva captato il pericolo. Purtroppo, come una bruttissima parentesi in una situazione già difficile, mia madre si è ammalata di cancro ed è stato uno dei periodi più brutti della mia vita. Abbiamo scalato montagne e abbiamo sconfitto l’”intruso”, sempre insieme, senza mai mollare la mano, l’una dell’altra. E arriviamo così all’estate della mia laurea, conseguita ad aprile del 2018, in particolare alla sera del 27 giugno. Specifico che abitiamo in un condominio al quinto piano, da ormai vent’anni. Quella sera mi sentivo “strana”, angosciata, preoccupata, turbata da qualcosa, senza capire cosa potesse essere.”

“Corsi da mia madre, le presi il braccio e le dissi “Mamma, aiutami, ho paura di suicidarmi buttandomi dal balcone della cucina. Ma io voglio vivere!”. Non saprei descrivervi quel momento. È stato davvero il peggiore della mia vita. Mi sentivo pazza e in colpa, non erano da me quelle frasi, le avevo sentite solo nei film, mi terrorizzavano! Non riuscivo a dare una spiegazione a quelle parole, uscite come lame affilate dalla mia bocca. Ma ero veramente io? Non mi riconoscevo. Fu in quell’istante che mia madre, piangendo, telefonò al neuro-psichiatra per prendere un appuntamento. Sembrerà assurdo ma già l’idea che qualcuno potesse aiutarmi, in qualsiasi modo, mi tranquillizzò all’istante.”

“Ma dove era finita la solita Anna? Inutile dirvi che stavo malissimo, che mi sentivo persa, che mi vedevo come un puntino minuscolo intorno al quale ruotava vorticosamente il mondo. Ero caduta in un altro pianeta,  nel buio pesto e non riuscivo più a rialzarmi. Le ossessioni, le paure, le immagini che si susseguivano senza sosta nella mia testa. E arriviamo, così, al 12 luglio 2018, tutti stremati perché non dormivo, mangiavo solo cibi liquidi, frullati e pappine,”

“C’era un medico davanti a me, gli potevo dire tutto quello che provavo, mi avrebbe capito, non giudicato, per un attimo l’ho considerato il mio eroe. Era lì, barba folta, a me sembrava Sigmund Freud, seduto, calmo, con un semi sorriso sulle labbra e mi invitava a raccontare. Piccolo problema: non uscirono parole dalla mia bocca, solo un lungo ed ininterrotto pianto disperato in una stanza che sembrava improvvisamente vuota. I miei erano lì, ad assistere, piangevano anche loro. Lo psichiatra mi guardò, allungò una mano verso di me, come un migliore amico e mi disse “Ce la puoi fare Anna, racconta tutto”. Non saprei dirvi quanti minuti sono trascorsi da quella fatidica frase sino alla fine del mio racconto. Avevo da dire il mondo, l’universo! Non mi fermavo più! Ed ora arriva la parte che preferisco, ovviamente. Il dottore mi bloccò, mi disse “Attenzione ragazza mia, le frasi che ruotano nella tua testa non sono un ‘Mi butto dal balcone’ ma un ‘SE mi buttassi dal balcone?’”. Mi illuminò, mi sentii improvvisamente capita, mi rassicurò perché io avevo paura, avevo paura dei miei pensieri. Mi spiegò che erano domande insistenti che avevano bisogno di una risposta per lasciare il passo alla serenità della mente. Mi chiedevo “E se…”, di continuo!”

Poi arrivò il momento di dirmi cosa diamine avevo. Ecco la diagnosi: DOC, Disturbo Ossessivo Compulsivo. Spero di riuscire a spiegare al meglio di cosa si tratta, per tutti coloro che mi leggono e si ritrovano nelle mie parole.”

“Mi spiegò che il cervello si era stufato, era stanco dello stress cui lo sottoponevo da anni! Basta, non voleva saperne più nulla di ragionare lucidamente! Si stava ribellando, mi stava chiedendo aiuto! E così erano iniziate le domande ossessive, la paura di poter vedere realizzato, nella realtà, quanto mi chiedevo. Mi disse anche che noi, sì noi con questo disturbo, abbiamo un problema di dimensioni: vediamo sottilissima la linea che separa il pensiero dalla realtà! Se io dico “E se domani mi tagliassi un dito?” ciò non si verifica, trova spazio solo nella mia mente, finché io stessa, con lucidità e volontà, non decido di effettuare quel gesto. Ma io non volevo quello, anzi, ne ero terrorizzata! Nella mia mente si era inceppato il meccanismo: ciò che pensavo, per me, diventava realtà, si tramutava in gesto compiuto, realizzato. È questo che mi terrorizzava e non mi dava pace.”

“Quel giorno, finalmente, arrivò anche un’altra risposta: una adeguata cura farmacologica che, secondo il medico, mi avrebbe fatto rialzare dalle tenebre. Iniziai a respirare di nuovo, non trattenevo più il fiato, vedevo il mondo esterno con occhi nuovi, le giornate sembravano scorrere più velocemente, i miei erano sollevati, credevamo già nella terapia senza ancora averla iniziata.”

“Ed eccomi arrivata ad oggi, ancora in terapia, con una cura farmacologica ridotta gradualmente, dopo aver affrontato anche un bellissimo cammino di psicoterapia. Sono Anna, sono tornata! Ho una vita normale, sì sempre con le mie pastiglie, ma normalissima! Mangio, dormo, esco senza dover chiudere gli occhi per paura della luce e della gente, sorrido, piango, mi incavolo, VIVO! Anzi, sapete una cosa? La mia vita ora è migliore, sono un’Anna migliore di prima, mi piaccio molto di più! Me la godo davvero la vita perché è una sola e va vissuta come Dio comanda! Il dottore mi aveva detto che prima non avevo una vita di una ragazza della mia età, l’avevo persa!”

“Perché la vita è bella, perché la vita è rara!”.

“La morale è questa: non abbiate paura di parlarne, il DOC esiste ma si cura! E se posso darvi un consiglio, se ne avete la possibilità, tenete con voi un cucciolo da accudire. Perché ancora oggi ho giorni sì e altri no ma nei giorni no ho sempre accanto a me i miei due bimbi pelosi, due gattini, Minù e Matisse. Non bisogna sottovalutare il potere curativo degli animali. È potente, davvero! Persino il più piccolo dei due ha capito che a volte mi sveglio così, “strana”, angosciata, “pesante”, che non riesco a sorridere e ho bisogno di tranquillità. E lui è lì, al mio fianco, se gli dico “Matisse, oggi è un brutto giorno…” inizia ad accoccolarsi su di me, a farmi le fusa, a leccarmi il mento e le guance. Beh, vi assicuro che in quel momento io sono in paradiso e il DOC…va a farsi friggere! Siate forti, chiedete aiuto, non lasciatevi andare, non chiudetevi a riccio, PARLATE! Non siete soli, non siamo soli, MAI e il DOC non è poi una bestia così cattiva, bisogna conoscerlo e non averne paura. Curatevi, è un consiglio, i farmaci e il supporto psicologico sono fondamentali. Curatevi per voi ma anche per chi vi ama, per chi vi è accanto nei momenti peggiori, oltre che in quelli migliori.”

“Ps. Il mio psichiatra, prima di prescrivermi la cura da seguire, mi ha detto queste parole: “Il DOC, cara Anna, viene alle persone molto intelligenti! Ritieniti fortunata!”. Figo, eh?  E, come qualcuno mi ha suggerito, aggiungerei “…e alle persone molto sensibili”!”

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Peccato, le cose belle finiscono sempre troppo presto, però chissà cosa ha in riservo il futuro per me!

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