Il 17 marzo 1971, cinquant’anni fa, l’edizione pomeridiana di «Paese Sera» e, con maggiori notizie, quella successiva del 18 marzo, denunciarono il “golpe” (colpo di stato militare per prendere ed esercitare il potere in modo anticostituzionale) tentato tra il 7 e l’8 dicembre 1970 dai neofascisti.
I golpisti erano guidati da un militare e uomo politico molto noto: Junio Valerio Borghese, il Principe Nero (1906-1974). Combattente al fianco dei Tedeschi dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e comandante della la X Flottiglia MAS (corpo militare indipendente della Marina, attivo dal 1943 al 1945 nella Repubblica Sociale Italiana), il Principe Nero fu detenuto, processato e amnistiato dopo la guerra. Dal 1951 al 1953 fu presidente del Movimento Sociale Italiano.
Su Junio Valerio Borghese sono stati scritti quintali di libri ma qui preme soprattutto ricordare il suo legame con Catania conseguente al matrimonio di suo fratello, il primogenito Flavio (1902-1980) con una catanese. Il matrimonio fu celebrato il 10 gennaio 1927 ed Angela Alvaro Paternò dei Manganelli (1901-1973) portò in dote Palazzo Manganelli, nell’omonima piazza catanese. Quell’imponente edificio storico continua ancora oggi ad essere proprietà della famiglia Borghese che ha anche il titolo di “principe di Sperlinga e dei Manganelli”. L’attuale capofamiglia, Scipione, nato nel 1970, si è accasato con una Massimo e l’anno scorso è diventato padre dell’erede Camillo. Lunga vita a questa dinastia che ha accompagnato per un lungo corso di secoli nel bene e nel male la storia d’Italia.
In un recente libro, ristampato per il successo di vendite, lo storico Fulvio Mazza ha rivelato la “verità storica” emersa dalla ricerca archivistica: Junio Valerio Borghese non morì di morte naturale ma fu assassinato per impedirgli di parlare e di rivelare le trame politiche che dovevano essere taciute.
Ma andiamo con ordine, per seguire la cronologia del “Golpe Borghese”, tentato e fallito nel dicembre 1970. Dopo lo scoop di «Paese Sera» del 17 marzo 1971 un agente del Sid (Servizio Informazioni Difesa), il capitano Antonio Labruna, aprì un’inchiesta riuscendo a scoprire mandanti ed esecutori del “golpe”. Produsse un “Malloppo documentario” poi però censurato dal suo capo, il generale Gian Adelio Maletti, e dall’allora ministro della Difesa, Giulio Andreotti. Il depistaggio andò in porto e tutti, persino i rei confessi, furono assolti dalla Cassazione.
Studiando la documentazione archivistica proveniente dal Sid, dalla Commissione parlamentare P2 e dalla Commissione parlamentare stragi è possibile dimostrare che all’epoca del “Golpe Borghese” il PCI era riuscito, nei giorni stessi, a sapere del complotto ma che decise di reagire con estrema cautela facendo trapelare la notizia solo, appunto, il 17 marzo 1971.
Il tentativo di “golpe” coinvolse personaggi di primo piano in quegli anni, a partire da Giulio Andreotti e Licio Gelli. L’ideatore Junio Valerio Borghese morì in Spagna nell’agosto 1974, alla vigilia del suo rientro in Italia: il “Principe Nero” – afferma lo storico Fulvio Mazza – venne molto probabilmente assassinato da chi (armato dagli ambienti andreottiani e da quelli massonici, innanzitutto) temeva le rivelazioni che avrebbe potuto fare alla magistratura.
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