<<…classe 1987. Settembrina. Nasco in via Carlo Forlanini, soprannominata dai catanesi ” a vanedda cucchiara” per via della sua forma.
Una famiglia semplice, papà operaio, mamma casalinga, presentissima e chioccia, un fratello di sei anni più grande. Un’ infanzia tutto sommato serena, pochi mezzi, ma non mancava niente. A scuola andavo dalle monache, il sabato la pizza a Pedara o a Trecastagni. Avevo la fissa delle fatine bionde della TV, la Parisi, la Cuccarini, Loretta Goggi, la Carrà, un’ ossessione vera e propria per Dalidà. Già da piccolissima sognavo Sanremo, la TV, il palco, cantare, diventare una della televisione.
Sognavo dal profondo della città, quartiere Cappuccini, poi Lineri, infine il Fortino. Da lì sembra tutto un po’ più difficile.
A casa organizzavo i miei spettacolini davanti allo specchio, ma fuori, essendo timidissima, mi limitavo ad osservare gli altri, passiva e timorosa: ho osservato praticamente per tutta la vita gli altri vivere, atteggiarsi, gesticolare, litigare, innamorarsi, inalberarsi, ridere, scherzare, mistificare, mentire, dirsi addio, arrivederci, a presto.>>
<<Come seduta su una panchina di una stazione dove il più ampio dei portfoli umani fa le cose più disparate. In tarda età decido di assecondare i miei sogni, le mie passioni più segrete: lascio l’ università di lingue e provo ad entrare all’ Accademia Umberto Spadaro, purtroppo senza successo. Allora decido di iscrivermi ad un corso teatrale privato dove ho occasione di fare lezione con un’ attrice che già stimavo e ammiravo, Egle Doria. E’ lei la prima a spingermi verso la scrittura teatrale, dopo aver letto un mio elaborato, lei la prima persona in assoluto che pensa che posso farcela.
Nel 2018 ho la possibilità di cimentarmi nuovamente con la scrittura teatrale con lo spettacolo “68 punto e basta”, produzione Teatro Stabile di Catania, per la regia di Nicola Alberto Orofino. Il progetto prevedeva che gli attori si dedicassero pure alla drammaturgia raccontando il 68′ a Catania, cinquant’anni dopo. Mi ritrovai, così, a raccontare la storia di una casalinga catanese dell’epoca alle prese con il boom economico, un marito, una casa, il televisore, la lavatrice e la carne Montana nella dispensa, sazia e soddisfatta, ma solo in superficie. Un uccello in gabbia, uno di quelli ” ca’ non canta p’ amuri, ma ppi raggia”, una donna che non vive il 68′ e tutte le sue rivoluzionarie vicende perché moglie e vittima di un marito- padrone, geloso, possessivo e retrogrado che la tratta come un trofeo, una bambola, una cosa.>>
<<Poi qualche tempo dopo arriva la proposta di Nicola Alberto Orofino : ” vorrei raccontare la storia di tre Moschettieri, ma di Catania. Tre Moschettieri al servizio dell’ illegalità, dei quartieri. Ti va?”
Accettai senza pensarci. Entusiasta. Si preannunciava una bella sfida: potevo raccontare qualcosa che conoscevo bene, nel profondo, il quartiere!
Bisognava però non scadere nel “macchiettismo”, raccontare con onestà tutte le sfaccettature belle, (perché ce ne sono eccome), allo stesso tremende e crude.
La prima cosa che mi sono chiesta è stata ché linguaggio utilizzare: potevo edulcorare, addolcire, mitigare, cambiare, censurare le espressioni verbali del ventre di una città pittoresca e sfaccettata come quella catanese?
No, non potevo. Ho rischiato. Al momento della consegna del copione al regista tremavo. Ero cosciente che il testo fosse forte, pieno di parole che comunemente potremmo definire volgari, “vastase”, per dirla alla catanese, parolacce e turpiloquio, ma necessarie, secondo me. Il giorno della prima, ma pure dopo, ho temuto quest’ aspetto, ma fortunatamente una buona fetta di pubblico ha capito l’ intento e la necessità.>>
<<Ho cercato di raccontare tre storie, la giornata tipo di un “Moschettiere di Librino”: cosa fa tutto il giorno un ragazzo che ha scelto di vivere nell’ illegalità ? A cosa pensa? Cosa sogna? È felice? Vorrebbe tornare indietro? Ha la possibilità di farlo?>>
<<I tre personaggi, Nitta, Bummacaro e Moncada, – che prendono i nomi dai tre vialoni del quartiere Librino – bevono, mangiano , gozzovigliano, vanno allo stadio, in discoteca, ci provano con le ragazze, pensano tutto il giorno a come diventare sempre più ricchi, sempre più potenti, a farsi strada nella malavita.
Ho preso spunto dai tre più famosi Moschettieri di Dumas: se si presta attenzione alle loro parole, si possono riconoscere Atos, Portos e Aramis. Sullo sfondo c’è una regina di Catania, Nancy, mamma, protettrice, punto di riferimento, Santa e intoccabile; è lei che li manovra, lei che li benedice, lei che li protegge. Questi tre giovani sono figli suoi, tra tutti i più bravi, i più fedeli.
La omaggiano di un bacio ogni qualvolta la si nomini, ogni cosa è per lei, tutto parte da lei, con lei.
E non si può sbagliare, non si può fallire, non si può deludere questa regina di Catania, proba, feconda e generosa, che permette loro di avere abiti firmati e fiumi di Moet & Chandon, di avere il privèe in discoteca, di fare tardi, di svegliarsi a mezzogiorno, a patto che poi si produca e si moltiplichino i proventi ricavati dalle più disparate attività criminali.>>
<<“I Moschettieri” è la mia opera prima, con la scrittura mi sono cimentata ancora poco e sempre in accoppiata o addirittura in trio ( mi riferisco a “LA FELICITÀ” scritto con Giorgia Boscarino e al progetto ” Tornati ( a casa) per tempo”, serie teatrale che debutterà a Novembre, scritta con Giovanni Arezzo e Alice Sgroi per il teatro Stabile di Catania, sempre con la regia di Nicola Alberto Orofino).
Sono felice di averla vista, finalmente, vivere in scena! Il progetto doveva debuttare ad Aprile del 2020 al Teatro del Canovaccio, siamo riusciti a fare la prima lettura, poi la pandemia, il lockdown, i teatri chiusi, lo sconforto e un periodo buio che non sembrava mai passare; finalmente l’ allestimento in Gennaio, e la prima data del debutto! Emozione fuori da ogni possibile definizione! Mi sento solo di riassumerla esprimendo la mia riconoscenza a tutti coloro che hanno creduto in me, a partire da Alberto Orofino che ha avuto fiducia in me, e ce ne voleva tanta, tantissima per affidarmi la scrittura di un progetto così delicato, con una tematica non facile, coraggiosa; l’ associazione Madè che ha fortemente incoraggiato e sostenuto quest’ idea, da sempre, dimostrando di credere nelle mie potenzialità, non è facile in questa città trovare qualcuno che ti stimi e ti dia una possibilità. Rettifico: praticamente quasi impossibile.
Per sempre grazie! Fosse pure l’ ultimo, sarei già felice così.
Ringrazio i miei tre Moschettieri, che si sono fidati, ogni giorno appassionandosi al testo, studiare, fare memoria, volere bene ai loro personaggi, sforzarsi di comprenderli, diventare loro, amarli, nonostante tutto, nonostante non quei Moschettieri lì siano personaggi imperfetti. Sento di ringraziare tutti coloro i quali hanno lavorato a questo progetto con un amore e una dedizione che mi fa scoppiare il cuore: Gabriella Caltabiano, Vincenzo La Mendola, Stefania Bonanno, Grazia Cassetti. A Stefania Bonanno, l’ amica di sempre, vorrei dire grazie due volte perché mi ha sostenuto con una pazienza e con un affetto che solo chi ama può.
E amare una come me non è facile.
Ci sono tante persone che hanno voluto bene a questo progetto, non lo scrivo, ma loro lo sanno.
Hanno voluto bene a ” I Moschettieri” fin da subito, come fosse loro, per me è importante.
Grazie.>>
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