“Dicotomie”, progetto di Alice Sgroi e Roberta Amato debutta l’8 Luglio dell’estate scorsa in forma ridotta all’Arena Carlo Alberto dalla Chiesa di San Gregorio. Al Teatro del Canovaccio, appena qualche giorno fa è stata rappresentata la versione rivista ed ampliata, con la loro regia, il progetto grafico di Maria Grazia Marano, l’assistenza alla regia di Gabriella Caltabiano. Foto di scena, Dino Stornello. Contributo come voce fuori campo di Nicola Alberto Orofino.
Questa voce – magica carica di ogni bravura sia noto appartenere al regista e all’attore che conosciamo bene – le presenta mentre entrano in palcoscenico con i loro corredi da attrici per partecipare al casting di un nuovo lavoro. Indossano abiti, borse ed accessori diversi per look opposti; mangiano pasti diversi, una beve tisane, l’altra fuma, ma entrambe hanno portato un pacco di sale. Si conoscono già: una è simpaticamente logorroica, l’altra sarcasticamente di poche parole: il frangente non è proprio fatto per amarsi. Perché il provino per il ruolo non può esserlo, ma nell’attesa stringeranno una mutua intesa, quella che fra donne comunque arriva, malgrado siano Sole e Luna. Si trovano a dividere il camerino, parlano, si cambiano d’abito, si scambiano occhiate e soprattutto mentono: mentono affermando di stare bene, di essere appagate, serene. Esibiscono distacco rispetto ai patimenti, ma ben presto restando sole nella stanza e ogni parete diventerà un muro che le schiaccia; ogni messaggio che non arriva sul cellulare, un’angoscia che ripesca nel passato mai sopito le loro debolezze, dolori irrisolti, sospetti. Clara e Melania, tacco 12′ l’una e Birkenstock l’altra; e viceversa…
I loro provini, dialoghi con i riflettori, monologhi emersi dal buio intrisi di smarrimento, gonfi di rimpianti e dolore. Per entrambe.
Melania porta un brano estratto da “4.48 Psychosis”, ultimo libro scritto da Sarah Kane (omaggio personale al magnifico “Girasoli”, lavoro diretto da Giovanni Arezzo, in cui Alice Sgroi interpreta la giovane scrittrice morta suicida). Clara parla di sé e di tutte quelle donne mortificate dal male del secolo, dall’assoggettamento a tutto ciò sia slim, ridotto, poco; il piacere di mangiare messo alla gogna, additato come una colpa e come tale condannato dai giudici dalla taglia 38!
Donne come lo Yin e lo Yang, luce ed impulsi negativi, energie che si negano e si cercano: il nero ed il bianco scelto per i costumi non è casuale e fa pensare che sull’unico lato di genere si può parlare abbastanza di differenze e di conflitti e di confluenze, senza scomodare l’altro sesso che ha un ruolo a margine anche se fondante delle ansie, che sottovaluta gli slanci biologici, rimanda le loro scadenze di donne.
Alice Sgroi e Roberta Amato scrivono e recitano di due entità semplici, in fondo comuni, perché semplici e comuni sono i bisogni delle donne. E il segreto, il valore di questo lavoro sta giusto nella ripetizione recitata di realtà diffuse sulle quali gli occhi di qualsiasi donna si possono spalancare riconoscendone la propria. Sono brave a non calcare la mano, a non enfatizzare le pose, perché come donne, attrici, osservatrici della realtà sono consapevoli che estrarre da essa una piccola porzione di vita possa riempire di senso il loro lavoro. E ci riescono assai bene.
Roberta Amato ed Alice Sgroi sono delle ottime scrittrici, dotate di uno stile autentico che arriva chiaro e diretto. Attente alle sagome, i caratteri, i modi e i tipi, assorbono dalla vita che accade intorno le verità in ordine alle relazioni e sviluppano i personaggi che nascono sulla carta arricchendoli di ogni qualifica li possa rendere vivi e veri e da palcoscenico. Entrambe valide nella generazione dei fatti concreti, in “Dicotomie” accennano ai sogni e alle favole di cui si nutrono Melania e Clara solo per svelare l’errore recidivo di ogni donna a volerci credere sempre. La cura nella definizione del testo e di queste due personalità “dicotomiche ma gemelle” ha contorni evidenti che il pubblico non impiega molto ad evincere: lo studio, la cura, l’aderenza alla realtà e allo stesso tempo le occhiate speranzose verso il diverso che sarebbe potuto essere generano due personaggi da ricordare perché è tanto il lavoro che c’è nel confezionarli. Nessuna eroina con abiti patinati, ma due dimensioni a cui ogni donna ha accesso, in cui ogni donna scorge la propria forza e il fianco debole. Donne robuste, stabili ma con crepe rinforzate, palpebre pesanti e una conclusione intelligente, ogni donna è se stessa e tutto ciò abbia fatto per diventarlo, ma anche allo stesso tempo è qualcuno con caratteristiche opposte, a cui sarebbe piaciuto avere anfibi che si staccano di netto per diventare tacchi 12′.
E’ un bel progetto quello di Alice Sgroi e Roberta Amato, con interessanti potenzialità di crescita senza modificare il testo, magari aggiungendo un altro confronto ed altre riflessioni in solitaria, magari proponendo a turno professioni ed ambienti diversi.
Belle sono le loro parole e forse in questo mare senza né zattere e sponde di riferimento in cui ci muoviamo chiamando pace un ozio guasto e malsano, sentiamo il bisogno di autori ed autrici che abbiano un’idea, la sviluppino senza esautorarla di qualità e neppure usino aiutini per fare demagogia da spettacolo. A mio parere Melania e Clara possono continuare a crescere nell’affezione del pubblico, consegnate infine alla lunga dedica espressa dalla stessa voce fuori campo di Nicola Alberto Orofino che ne declama la forza e la fragilità, giungendo al paradosso evidente solo per l’universo femminile che ogni donna può sempre essere tutto ed il suo netto contrario.
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