…Si è sempre soli una notte di troppo
Io non ricordo quale fu la mia
La notte che il mio cuore si è rotto…
La regia è di Giovanni Arezzo (contemporaneamente impegnato al Teatro Angelo Musco in “Sogno di una notte a Bicocca” di Francesca Ferro); assistente regista, Gabriella Caltabiano, costumi di Grazia Cassetti, light designer Marco Napoli, Soundtrack e foto, Giorgia Faraone. Led Creator, Giuseppe Reitano. Il progetto grafico è stato curato da Maria Grazia Marano e la produzione è di MezzAria Teatro.
Stefano Benni
Giovanni Arezzo
Di Stefano Benni, scritto in versi, e in una prosa che ha del musicale; non lo conoscevo. Ne ho studiato la biografia, da lui stesso editata (dice una delle dodici che ciclicamente ama inventarsi “addosso”) e lo definisco un personaggio pazzesco! Il teatro serve anche a questo, conoscere l’ignorato. E fare tesoro dei nuovi concetti assunti, farne tesoro letteralmente parlando. Stefano Benni è bolognese, ama gli animali, ama viaggiare, si spende per gli immigrati, è salito sul palcoscenico con Dario Fo e Franca Rame. E indaga le solitudini. Durante la pandemia, scrive favole per grandi e piccini sulla Repubblica (bellissima quella intitolata “C’erano una volta gli animali alle prese con uno strano virus”, 21 marzo 2020). Autore di numerosi libri: Bar Sport, La traccia dell’Angelo, L’ora più bella, Cari mostri, altri e “Dancing Paradiso”.
Cinque personaggi, cinque vite sole ruotano senza conoscere l’uno il destino degli altri; l’Angelo Angelica, custode silenzioso del Dancing Paradiso, cercherà di farli conoscere avviandoli su un percorso comune che avrà come destinazione il locale, luogo dove tutti possono accedere, i buoni e le carogne “e qualche volte le fanno cambiare…”. Elvis (Nicola Alberto Orofino), auto escluso da anni dalla vita sociale, per lui il computer non ha segreti e attraverso esso mangia, fa acquisti, soddisfa le proprie necessità. Ma la bravura come hacker non lo incoraggia al confronto sociale: ha paura e coltiva l’esaltato progetto di ordire un piano in cui almeno mille persone devono perdere la vita. Stan, il pianista Triste (Francesco Bernava) si impegna per portare via dall’ospedale l’amico Bill (Francesco Bernava) per regalargli la gioia dell’ultimo concerto. La poetessa Lady (Alice Sgroi) che scrive le poesie sugli scontrini e pensa sempre al suicidio; Amina (Alice Sgroi), profuga e orfana, trova il bello nelle cose del suo piccolo universo, malgrado lo squallore che in certe giornate guasta tutto.
Cinque personaggi per tre attori che sul palcoscenico del Cannovaccio si sono spesi energicamente, conferendo a ciascuno gli innumerevoli toni del disagio, della tristezza, della rassegnazione, sfumando nella speranza ciò che l’incontro potrà loro dare arricchendoli: un’apertura verso l’ignoto imperscrutabile, causato da ogni ricerca sul web che anzichè chiarire genererà un corto circuito nella mente del povero Elvis; un regalo della vita per Bill dall’amico Stan; una relazione per Amina ed un riconoscimento dell’arte sua amata per Lady. L’angelo Angelica, simile qui a Campanellino (grazie anche all’esile figura di Alice Sgroi che lo interpreta sul finale), sperduto nel suo ambito, “prigioniero di un pensiero senza dubbio e dismisura” cerchierà queste vicende non sapendole narrare in realtà, ma a suo modo rivestirà il ruolo di chi può concorrere a riscrivere il finale di vite segnate.
Francesco Bernava ed Alice Sgroi sono ottime scelte per rivestire ruoli pieni di sfaccettature emotive: Francesco è grottesco riuscendo al tempo stesso a scatenare il sorriso e attivare la tenerezza. Alice definisce il carisma della sofferenza che incide sull’ espressione, sull’atteggiamento del corpo: percorrono entrambi il tunnel alla ricerca di un brillio diverso che deve esistere…. Nicola Alberto Orofino è l’ingenuo Elvis con la sindrome di Hikikimori; quelle rare volte che ci concede il privilegio di vederlo recitare, non si può rimanere indifferenti rispetto a quanta anima questo attore/regista/autore riesca a trasferire anche in un semplice tic, una mano che sovente cerca gli occhiali sulla cunetta del naso…
La regia di Giovanni Arezzo è discreta, consapevole della forza del linguaggio, ma nella ricerca della definizione del vuoto/pieno io azzarderei maggiore intraprendenza da parte sua: ha i numeri e ce la può fare. Risponde lo stesso regista:
<< Riguardo a questo, non è detto che debba “capirsi” il mio processo: mi piacerebbe riuscire a fare un teatro che instilli in chi lo guarda più domande che risposte, rimanendo comunque comprensibile e “vero”, senza intellettualismo inutile ecco. Riuscire a fare questo teatro è il mio obiettivo.>> – prosegue – <<Scenicamente, ho creato due ambienti molto precisi e diversi tra loro: il primo che rappresentasse il posto “privato” di ogni personaggio, e il secondo il Dancing Paradiso, il locale. Mi piaceva che durante il primo di questi due momenti il palcoscenico potesse, man mano che vengono raccontate le storie, riempirsi di qualcosa, di tante cose, che sarebbero state poi tolte da Amina, la cameriera del Dancing, nell’azione molto concreta di pulire il suo posto di lavoro, scena che segna il passaggio dai luoghi privati dei personaggi al locale pubblico. E ho scelto i peluche per tante ragioni, principalmente perché la cameriera Amina. Nel suo monologo, lei parla della sua infanzia, a tratti per modo e lessico è quasi come se fosse in una fiaba, e le sue parole sono vivide immagini che senza soluzione di continuità passano dalle filastrocche spensierate e dalle dolci musiche del suo paese, agli spari e ai lampi della guerra, e ai suoi familiari che per colpa della guerra stessa sono stati costretti ad abbandonarla, poco più che bambina.>> – conclude Giovanni Arezzo – <<mi sembrava molto forte che queste parole venissero dette mentre lei, con voluttà ed energia, riempie un sacco nero dell’immondizia con peluche di ogni tipo e forma; mi sembrava un contrasto interessante ed emozionante, che potesse far emergere in chi guarda delle cose, delle riflessioni… Poi ancora, i personaggi di questa storia, benché non siano dei bambini, sono tutti in qualche modo rimasti incastrati nella propria infanzia, forse non sono cresciuti del tutto, o forse sono cresciuti a modo loro. Per questo mi è sembrato interessante farli interagire con i pupazzi dell’infanzia, anche con gli stessi che ora sono di Elvis e poi di Lady e poi ancora di Stan, come in una strana giostra in cui questi personaggi, anche se agiscono in tre luoghi privati diversi, hanno delle cose in comune e dei punti di contatto tra di loro.>>
“Dancing Paradiso” di Stefano Benni inaugura la stagione del Teatro dei 3 Mestieri di Messina – sabato 18 novembre alle ore 21.00 e domenica 19 novembre alle ore 19.00
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