La Fortezza di Elio Gimbo allo “Stallone” di Catania

La Fortezza di Elio Gimbo allo “Stallone” di Catania

“I cosi logni addiventunu seppenti”: le cose lunghe diventano serpenti.

Potrebbe essere questa la morale, l’insegnamento della recente, prodigiosa regia che Elio Gimbo ha proposto questa estate al pubblico catanese “O Stalluni”, la casa estiva che i frati Gesuiti si costruirono alle porte della città a metà settecento e di cui furono derubati dai piemontesi nel 1866, che la usarono come stalla principale delle loro truppe a cavallo (Lo Stallone, appunto) fino ad arrivare alla Repubblica Italiana che, mantenendo l’identico fine, lo ha ammantato di ipocrisia chiamandolo Istituto per l’incremento Ippico.

Proprio “o Stalluni” Elio Gimbo ha ambientato la sua “Fortezza” cioè la sua libera versione teatrale del romanzo “Il deserto dei tartari” di Dino Buzzati, scrittore, giornalista, drammaturgo e pittore italiano, con la quale Fabbricateatro, l’associazione teatrale da lui diretta, ha rinnovato con gioia la collaborazione con il CUT (Centro Universitario Teatrale dell’Università degli Studi di Catania).

Il romanzo di Buzzati fu pubblicato per la prima volta da Rizzoli nella collana “Il sofà delle muse”,diretta da Leo Longanesi il 9 giugno 1940. Il giorno dopo l’Italia entrò in guerra contro la Francia e l’Inghilterra a fianco della Germania. Buzzati – infatti – aveva provveduto a chiarire che l’idea della Fortezza Bastiani – e il suo cumulo di desideri, speranze e sogni di gloria – nasceva nella redazione del Corriere della Sera (giornale per cui iniziò a scrivere nel 1928: «… dalla monotona routine redazionale notturna che facevo a quei tempi. Molto spesso avevo l’idea che quel tran tran dovesse andare avanti senza termine e che mi avrebbe consumato così inutilmente la vita. È un sentimento comune, io penso, alla maggioranza degli uomini, soprattutto se incasellati nell’esistenza ad orario delle città. La trasposizione di questa idea in un mondo militare fantastico è stata per me quasi istintiva.»

 “Il deserto dei tartari è la parabola di una comunità di umani isolata dal mondo e della sua ricerca di senso in una attesa infinita”– spiega il regista Elio Gimbo -.“Quanti anni ci mette un desiderio per trasformarsi in una fantasia delirante? Chi stabilisce il limite fra la giusta aspettativa e l’inizio della follia?– s’interroga – Il trentaquattrenne Buzzati racconta il sentimento dell’attesa che diventa malattia con la previsione del proprio destino di successo”.

“Chiunque di noi ha avuto o ha la propria Fortezza Bastiani: il teatro è una di queste – afferma l’amministratore Daniele Scalia. – Nel lavoro con i giovani studenti universitaria abbiamo individuato nell’allegoria del romanzo il miglior contenitore per rappresentare ciò che in questo passaggio accade alle loro giovani vite”.

“Questo lavoro sugli studenti ha generato un metodo ed un obiettivo, il sogno della nostra Fortezza Bastiani.– racconta con emozione Sabrina Tellico, storica attrice della compagnia -. Il metodo è quello di una formazione teatrale basata su un duro lavoro fisico imposto dai training storici del ‘900 per affinare la propria presenza scenica. Il nostro obiettivo è formare compagnia stabile d’ateneo interamente composta da attori-studenti”.

Sulla scena, curata da Bernardo Perrone e Filippo Gravina, con Sabrina Tellico gli studenti apprendisti attori Nicoletta Basile, Aurora Strano, Francesco Rizzo, Nicole Somers Andolina, Roberta Puglisi, Daniela Liotta, Chiara Sabbatini, Rosaria Romeo, Salvo Pace e Leonardo Grasso; la cavalla Bruna e la sua amazzone Francesca Scirè, mentre il corredo fonico è stato curato da Simone Raimondo.

S’è detto”prodigiosa regia” perché ha saputo rinnovare la magia dell’evento narrativo-teatrale con la suggestione del tempo atmosferico (il tramonto), tra le mal tenute architetture di un luogo che prefigura un fascino antico, carico di contenuti umani e scevro da moderne, disumane artificiosità; arricchito da consoni costumi e dai movimenti di scena che hanno, appieno, dato il senso nichilista dell’intero romanzo e della sua Fortezza Bastiani; luogo simbolo dove si consuma la vita dell’intera umanità che non riesce a dare senso alla propria esistenza, pur sforzandosi di capire e di essere ciò che è, senza successo.

Sembra riuscirci il tenente Drogo alla fine della sua vita; ma sarà poi vero?

A noi pare che Drogo non muoia felice per avere sconfitto, nel momento in cui muore, la paura della morte.

Drogo è un disperato come tutti quelli che hanno sprecato la propria esistenza senza conoscersi, senza aver dato forma e vita al proprio Daimon, senza avere realizzato quell’essenza che noi incarniamo fin dalla nascita, soffocati dai mille serpenti che ci impongono l’immobilità fino all’ultimo dì.

Drogo comprende lo spreco della propria vita, comprende d’essere stato un lampo di luce tra due infinite oscurità e come ogni disperato, cristianamente, pone la sua speranza nel somnus pacis, nella fatal quiete che libera dall’incessante costrizione del respiro e che dona libertà alla propria anima, libera di correre senza briglie come la cavalla Bruna con la sua amazzone di bianco vestita, com’è bianca la Conoscenza, com’è bianca la Verità, com’è bianca la Luce, com’è bianca la Libertà di essere se stessi, in un aldilà intimamente, fortemente cristiano quand’anche negato e vilipeso.  … e tutto questo è apparso evidente attraverso dieci aspiranti attori, un’attrice di razza, una cavalla e la sua amazzone, uno scenario unico e una sapiente regia.

La rappresentazione è stata realizzata con il contributo dell’Assessorato al Turismo, Sport e Spettacolo Regione Siciliana, Palcoscenico Catania, Unict e Ministero della Cultura.

 

Condividilo: